ed i vari atteggiamenti ed i colori e la fisonomia che li informò furono cose mute all'occhio.... di molti, che non considerarono tutto ciò coll'occhio del medico. Segue una rassegna delle varie manifestazioni fisiologichepatologiche di cui Dante fa cenno nella Divina Commedia. Il commento di cui mi occupo non è sistematico, cioè non segue l'ordine de' versi, ma pare ideato e fatto secondo l'argomento. Ad esempio, quando l'A. illustra i versi Allor fu la paura un poco queta, ecc. cita, commenta, confronta gli altri passi riferentisi allo stesso argomento della paura. Di tratto in tratto però il medico-commentatore si lascia prender la mano dall'artista o, meglio, dall'istinto artistico, e dal rigorismo scientifico scivola facilmente nel sentimentalismo estetico. Qua e colà fa anche qualche raffronto tra le cognizioni mediche dantesche e quelle de' poeti latini. Volendo, ad esempio, illustrare il v. 53 del Canto XXX dell' Inferno Che il viso non risponde alla ventraja richiama alla memoria Orazio, Odi, libro II, vv. 13-15: Crescit indulgens sibi divus hydrops Nec sitim pellit nisi causa morbi Fugerit venis, et aquosus albo Corpore languor ed Ovidio, Fasti, libro I, vv. 215-16: Sic, quibus intumuit suffusus venter ab unda Quo plus sunt potae plus sitiuntur aquae Nel complesso, piú che un vero e proprio commento, sono impressioni ed appunti, un discreto materiale insomma, che, ben lavorato, ritoccato e limato, sarebbe potuto diventare un non disprezzabile contributo agli studî danteschi. In ogni modo è un tentativo che dimostra e l'amore dell'oscuro medico di condotta per Dante e le inclinazioni che gli studî secondarî di una volta infondevano negli animi di studenti, forse rozzi, ma dal cuore aperto al culto del bello. Non è mio còmpito esaminare minutamente il lavoro paterno. Con questa breve nota ho voluto solo far conoscere a dantisti e dantofili — specie a questi ultimi un ignoto loro collega. Con ciò, e mettendo a loro disposizione il manoscritto, credo di aver portato la tradizionale pietruzza al grande edificio degli studi danteschi e di aver pagato un tributo di reverente affetto alla memoria del mio buon padre. FILIPPO LARGAIOLLI, COMUNICAZIONI E APPUNTI Letture dantesche a Roma. Mi duole di dover lasciare una lacuna nella breve e rapida rassegna di queste geniali e dotte letture, e chieggo venia al prof. Zingarelli alla cui conferenza non potetti assistere. Ma la sua erudizione profonda e la sua arte d'esporre ottennero ancóra una volta il meritato successo, come gli assidui amici della Sala del Nazzareno ebbero a dirmi sinceramente. Mi è mancata cosí l'occasione di seguire i poeti su per la salita della Cornice VI, e di sentire i mistici esempi di temperanza ricordati. Ma già mi appare ed assorbe tutto il sentimento dell'anima la figura gentile di Forese Donati con il ricordo dell'intima amicizia col Poeta nei suoi giovani anni di amore e di poesia, e delle brevi vicende goliardiche dei due teneri compagni e del tenzonare poetico; figura ed episodî dominanti tutto il Canto XXIII, uno dei piú serenamente intonati. È la volta di G. Barzellotti. Egli, assiduo ascoltatore delle conferenze dantesche ha studiato lo spirito di esse, ed ha analizzato la psicologia dell'uditorio, del quale riesce quindi a soddisfare i desiderî piú riposti, evitando quanto possa riuscirgli non gradito. Le sue labbra sono spesso increspate da un lieve sorriso; le sue parole sono improntate ad una simpatica causerie, come disvago dalle profonde meditazioni filosofiche. Di questo periodo di Dante che non risulta ben chiaro, rileva la contraddizione per il contenuto dei sonetti scambiatisi con Forese e l'imagine che noi abbiamo nella mente della sua vita, contraddizione benevolmente risoluta, attribuendo quel po' di colpa a dei delicta juventutis e allo spirito dei tempi in cui era in moda questa spe cie di produzione letteraria e alla difficoltà di bene interpretare certe allusion:. E non lascia senza commento le terzine in cui Forese si scaglia contro le donne fiorentine, che hanno emulato quelle di Sardegna nella rilassatezza del vestire e nell'acconciamento poco modesto. Accanto alle piacevoli digressioni di narrazioni medievali, secondo le quali una donna usa a imbellettarsi una mattina s'è trovata tinta di nero dal diavolo, e una giovinetta perché troppo si stringeva la vita per apparire più elegante e snella la sera delle nozze morí, scagiona dall'accusa le donne di Barbagia che a torto furono descritte come impudiche e corrotte mentre sono cosí modeste ed ingenue. Il nome dei Donati continua nel Canto XXIV a risuonare sí soavemente prima per il ricordo di Piccarda invasata di mistico incendio, cosí tragicamente poi per la terribile profezia della morte di messer Corso, mentre altre memorie tornano al pensiero del Poeta. ** Il prof. Novati è stato uno dei più efficaci lettori. Artista delle sintesi sicure e ben colorite, supera sempre felicemente le difficoltà della scelta del necessario e del superfluo, e nel quadro non c'è mai né una linea di piú né una di meno. Le figure ben disegnate, le tinte ben poste, i giuochi di luce e di ombra, il lavoro, In generale circa le fonti mediche dantesche si riferisce all'opera del DUTENS, Rechers sur l'origin des dècuvertes attribues aux moderne, argomentando sulle cognizioni mediche di Platone, Aristotile ecc. di dettaglio riusciti; tutto entro un piccolo spazio, quasi un delicato lavoro di miniatura. Le quistioni trattate vengono ordinate secondo un principio direttivo, cosí che accanto alla principale si dispongono in scala discendente le altre. E l'effetto è grande perché viene tutto proiettato nella mente in modo netto e preciso, senza sovrapposizioni e affollamenti d'immagini. Insieme con i due episodî dei Donati tratteggia fugacemente la figura di papa Martino e quella di Ubaldin della Pila, e ritrae maestrevolmente quella di Bonagiunta, il notaio lucchese poeta, uno dei tanti giuristi letterati di quel tempo, messo là a indicare l'inferiorità ricono. sciuta di quella scuola dottrinale dinanzi a quella del dolce stile per cui quando amore spira si nota e si significa a quel modo che detta dentro. Il Canto finisce con esempi di golosità punita, e l'oratore chiude la sua Conferenza rileggendo l'ultimo verso: Esaurien lo sempre quanto è giusto, dandoci cosí raro esempio di temperanza letteraria. ** Eccoci al Canto XXV sí grandemente atteso per l'argomento delicato e scentifico. Ai professori di lettere succede uno di scienza, ma che a questa deve dare forma di poesia come Dante fa con sforzo maraviglioso. Piero Giacosa, il valoroso storico della Medicina, conduce abilmente l'uditorio in mezzo a tutti i difficili passi del Canto, e alla dottrina scientifica unisce la forma alata e poetica. Afferma la perfezione dell'antica dottrina della generazione in Dante e il progresso moderno di essa da una parte, e dall'altra parte della fecondazione come avviene nel giglio, simbolo del candore, e rileva il pregio del sentimento nella concezione che nel cuore il sangue prenda sua virtú informativa e la bellezza artistica della similitudine del calor del sol che si fa vino. L'illustre conferenziere disse che questo Canto potrebbe sopprimersi senza danno, ma credo che in ciò sia stato poco sincero, perché troppo amorosamente fu da lui studiato. Egli ha rivelato lo scienziato che tutto esamina ed anatomizza, sia pur gentilmente, e poi risale a principî generali, a considerazioni d'ordine filosofico, le quali però non sono quelle che meglio riescono ad essere accette agli uditori. Tocca all'on. marchese Di San Giuliano di rievocare le figure di quelli che oltrepassarono i giusti limiti d'amore, e specialmente quelle tanto care al Poeta di Guido Guinizelli e d'Arnaldo Daniello. E l'oratore dimostra la sua erudizione varia, spiega quella critica leggera ed aristocratica che sfiora le quistioni più che risolverle, che sorvola su alcuni punti e si ferma piú volentieri su altri. Abbiamo tutto un insieme che risente dello spirito mondano e dei riflessi dell'ambiente parlamentare. Accanto alla frase arguta e studiata, l'allusione politica e l'abbondanza della forma... Rocco SALOMONE. NOTIZIE Alla Lectura Dantis che si pubblica in Firenze dalla Casa editrice G. C. Sansoni, alla Lettura di Dante iniziata a Roma dalla Casa Paravia, alle raccolte delle letture dantesche milanesi Con Dante e per Dante e Arte scienza e fede ai tempi di Dante ecco ora accompagnarsi una Lectura Dantis genovese (Firenze, Le Monnier, 1904) nella quale il Comitato promotore della esposi zione pubblica del Poema a Genova ha creduto opportuno fissare in modo durevole il frutto della attività sua. In questo volume, al quale il p. Semeria proemia con un suo discorso intorno a Dante: l'uomo e il poeta nella cornice de' suoi tempi, si contengono le letture dei Canti I-XI dell' Inferno, fatte dai professori L. Leynardi, F. Pellegrini, G. Mazzoni, S. Bellotti, E. G. Parodi, A. Ghignoni, S. F. Bignone, A. Novara, M. Scherillo e F. Buttrini; e, secondo l'intenzione de' compilatori, a questo altri volumi seguiranno, per modo da formare tutti insieme un nuovo e disteso commento della Divina Commedia. Nel fasc. 3, tomo IV (luglio-settembre 1904) dell'ottimo Bulletin italien di Bordeaux, si contiene tra altro una breve nota di Paget Toynbee sulla parola Sollenare (Vita nova, par. XII e XXVIII) e uno studio di H. Dupré su L'Italie dans l'oeuvre artistique et littéraire de Dante Gabriel Rossetti. Dante negli Abruzzi è il titolo di una lettura fatta il 24 aprile passato nell'Aula massima del Municipio di Teramo dal prof. G. Pannella e pubblicata in questi giorni dalla tipografia di A. De Carolis. De l'arte in Dante e nel medio evo e di Gaia e Rizzardo da Camino discorre Luigi Coletti in un suo elegante volume, pubblicato a Treviso dalla Ditta L. Zoppelli. Dante and the English Poets from Chaucer to Teunyson è il titolo di un nuovo studio di Oscar Kuhns, recentemente pubblicato da H. Holt e C. di New-York. Dante e la Calabria, il noto lavoro di S. De Chiara, sarà prossimamente pubblicato in una nuova elegante edizione dalla Officina tipo-litografica editrice dei fratelli Passerini e C. di Prato. Giuseppe Vandelli, l'attento [e operoso dantista al quale la Società dantesca ha affidati come è noto gli studî per la edizione definitiva del Poema, raccoglie, con utile pensiero, nell'ultimo fascicolo del Bullettino della Società (XI, 4-5) le Varianti dell'edizione Alinari della "Divina Commedia, in confronto con la edizione del Witte. Proprietà letteraria. " Città di Castello, Stabilimento Tipo-Litografico S. Lapi, giugno 1904. G. L. Passerini, direttore Leo S. Olschki, editore-proprietario-responsabile. АГ GIORNALE DANTESCO ANCORA "SOPRA CAMPO PICEN,, A proposito di una Nota di FRANCESCO TORRACA 1 prof. Francesco Torraca ha trovato un errore nel mio libro Le Orme di Dante in Italia, e questo fatto egli proclama1 con una soddisfazione stranamente ostile, alla cui causa non conosco né ho voglia di ricercare. Ma nell'esultanza del trionfo egli ha trapassato il segno e dato in fallo tanto materialmente quanto personalmente. Le accuse mossemi dal Torraca per l'interpretazione di un famoso passo dantesco sono, nelle loro conseguenze, di tanta importanza e, nello stesso tempo, tanto gravi per me, che scendendo in lizza, mio malgrado, spero di non parere presuntuoso, se come straniero ardisco di affrontare un campione italiano di tanta reputazione. Ma questa volta egli si è scoperto un po' troppo nella vivacità del suo assalto; ecco dunque la risposta. L'attacco del Torraca ha per oggetto la mia interpretazione del vaticinio di Vanni Fucci intorno al campo Piceno, interpretazione che egli combatte assalendola da due lati. Dal lato storico egli mi rimprovera di avere spacciato il marchese Moroello Malaspina per successore diretto del duca Rober. to di Calabria nel comando supremo dei Guelfi riuniti per l'assedio di Pistoia nel 1305-6, 1 F. TORRACA, Sopra Campo Piceno," Rassegna Cri tica della lett. italiana „ VIII, p. 1. 2 Orme di Dante, trad. italiana di E. GORRA, Bologna, 1902, pag. 155. e di avere tralasciato il maliscalco del Duca, Diego della Ratta, che dopo la rinunzia del suo Signore aveva esso a tutta prima preso questo comando supremo, mentre invece il marchese Moroello Malaspina "divenne capitano generale della Taglia guelfa a cose fatte dopo la resa di Pistoia,,. Inoltre egli mi accusa di avere narrato gli avvenimenti militari in questione in un modo del tutto inesatto e parziale. ' Dal lato filologico poi egli mi fa rimprovero solenne di non avere cercato "nemmeno il senso letterale della breve allegoria dantesca e di avere frainteso parecchie espressioni. Movendo dunque da queste doppie accuse, il Torraca imprende a condannare la mia interpretazione, che riferisce il vaticinio di Vanni Fucci allo sterminio di Pistoia nell'anno 1306, e a sostituirle di nuovo quell'altra, che vede nei versi di Dante un accenno all'impresa di Serravalle dell'anno 1302. 1 Ecco un saggio del tono, col quale il Torraca ha creduto dover volgere contro di me la sua critica: "Non v'è nessuno, m'imagino, che, avendo ben "chiare innanzi alla mente le parole di Vanni Fucci, "legga queste pagine delle Istorie Pistolesi e non riconosca, e non senta, via via, alle seconde corrispondere, "punto per punto, le prime, quasi come un sommario "di mano maestra al suo testo. Nessun Italiano s'inten" de. Per conto suo, il Bassermann, forse perché aveva già fermato in mente di riferire agli avvenimenti del "1306 la predizione di Vanni Fucci, è stato capace di "riassumere il racconto dell'Anonimo, in modo da sottrargli la più gran parte della rapidità e della vivacità „. Il Postillatore dice in sostanza quasi lo stesso, che dico io; salvo che riguardo alla ubicazione del Campo Piceno egli cade nello stesso errore di tutti i letterati dei suoi tempi. L'autorità di questo commentatore indurrà forse il mio avversario, e coloro che gli hanno già dato ragione contro di me, a sentire ed esaminare ancor una volta i miei argomenti, quantunque io non sia italiano. Egli è vero che, trattando dell'assedio di Pistoia del 1305-6, ho tralasciato di menzionare il maliscalco di Roberto di Calabria, don Diego della Ratta, come successore immediato del Duca nel comando supremo "di tutta l'oste,; ma nego che da questo fatto si possano trarre le conseguenze eccessive, che ne ha tratte il Torraca. Se esaminiamo un po' più da vicino come sia avvenuta la nomina del "maliscalco del Duca a" capitano generale di tutta l'oste,,, vediamo, che essa è in fondo nient'altro che una specie di espediente. L'organizzazione del 1 Il Codice Cassinese della "Div. Comm. Monte Cassino, 1865, pag. 141. 2 quartiere generale degli alleati1 era fondata sul principio, che il principe straniero tenesse la direzione suprema: e poiché questi, contro ogni aspettazione dei Neri, fu costretto a dimettersi, si presentò come il piú ovvio il pensiero, che il luogotenente del Principe il capo dello stato maggiore, si direbbe oggi si sostituisse ad interim nel posto vacante di capitano generale e raccogliesse le redini strascicanti del comando. Tanto più che riguardo alla truppa di mercenarî del Duca, era più prudente di lasciarla sotto il consueto comando di un suo pari, cioè del maliscalco catalano. Ma considerato per sé stesso, questo Diego della Ratta non risulta poi proprio tale da esser il piú adatto a sostenere con efficacia siffatta parte di protagonista. Infatti egli non era altro che un capo mercenario, che lo stesso Torraca caratterizza come "avaro e truffatore, (pag. 6). Ed anche il Del Lungo, che lo dipinge come l'archetipo del1'" avara povertà di Catalogna,, è ben lungi dall'attribuirgli veruna importanza politica. Come mai dunque sarebbe stato possibile, che due popoli fieri e risoluti, quali furono i Lucchesi ed i Fiorentini, a questo cavaliere di ventura, straniero e a nient'altro intento che a fare danaro, concedessero seriamente e a lungo il comando supremo e decisivo in una lotta, nella quale impegnavano tutte le forze dei loro Comuni? Chi sia stato colui, che effettivamente fu giudicato degno di succedere al duca Roberto di Calabria, ce lo mostra appunto quella elezione del nuovo capitano della Taglia guelfa, che dal Torraca è troppo trascurata e giudicata in verità troppo alla lettera (pag. 6). Il marchese Moroello Malaspina fu eletto a questo ufficio il 30 marzo 1306: dunque undici o dodici giorni prima della resa di Pistoia. L'obiezione che 3 1 Forse il Torraca troverà qui di nuovo a ridire contro la mia "enfasi marziale come nel suo articolo, pag. 5. Ma non so trovare espressione meno marziale ed ugualmente precisa. Del resto posso consolarmi con Dante, che egli stesso non esitò mai di prendere i termini tecnici da tutti i mestieri, per rendere più chiara e più efficace la sua loquela. Non importa altro che saperli impiegare nel luogo conveniente. 2 G. VILLANI, VIII, cap. 82: " una masnada di trecento "cavalieri araonesi e catalani, e molti mugaveri a piè, la Ma in che modo ci sarà egli riuscito, se non con quel valore e con quel senno, di cui già aveva dato prova nel precedente assedio? Se durante questa impresa non si fosse fatto conoscere come capitano predestinato, certo. non sarebbe stato eletto capitano per condurla a fine. E cosí anche il Del Lungo1 lo menziona senz'altro come successore del Duca di Calabria: "capitano della Ta"glia Guelfa Toscana (come l'anno. "innanzi il Duca Roberto„). Che cosa rimane dunque di tutto questo "gravissimo errore,, in forza del quale il Torraca ha creduto di poter atterrare tutta la mia interpretazione del vaticinio di Vanni Fucci? Lo Maliscalco, l'ho dimenticato, è vero; ma questa omissione non è punto tale da scemare l'importanza reale del marchese Moroello Malaspina per la guerra finale contro Pistoia. "la presentazione della nomina all'eletto "la sua accettazione, hanno luogo soltanto parecchi giorni dopo la capitolazione, non può avere l'importanza, che le dà il Torraca. Senza dubbio il fatto della sua nomina il Marchese non lo avrà appreso soltanto mediante la presentazione ufficiale. E se gli alleati lo trovarono degno di conferirgli un posto di tanta importanza e responsabilità, non avranno certo stimato nel loro interesse di escluderlo dall'esercizio effettivo del capitanato per quel breve intervallo dal 30 marzo al 13 o 16 aprile, nel quale tempo occorreva appunto di prendere le misure decisive per raccogliere i frutti pagati a tanto prezzo di sforzi e patimenti inauditi di ambo le cittadinanze alleate, di escluderlo per la sola ragione, che la formalità della presentazione e dell'accettazione, per la quale sotto l'urgenza degli avvenimenti il tempo poteva parere troppo prezioso, non era ancóra adempita. Con questa opinione si accorda anche il fatto, che alla resa di Pistoia fu il marchese Mo-siderare, almeno esso, come un risultato poroello Malaspina e M. Bino da Gobbio, che "entrarono in Pistoia con certa parte della " gente da cavallo, e da pié, e presono la "balía della città 1 mentre del Maliscalco non si fa piú motto; com'è ugualmente significativo, che nelle feste trionfali delle due città non sia menzionato Don Diego della Ratta in nessun luogo, mentre i due podestà sono ricevuti, secondo che racconta il Vil-rie Pistolesi si presentano come una azione lani, in Firenze, respettivamente in Lucca solennemente "a modo di re,. Che cosa c'insegna adunque il fatto, che il marchese Moroello Malaspina fu chiamato alla testa dei Neri alleati, appunto in quel momento decisivo, quando il terribile assedio stava per finire, quando dovevano aspettarsi gli ultimi sforzi disperati degli assediati,3 quando toccava poi rimettere in assetto la città espugnata, atterrare interamente il partito vinto e sostituirgli un nuovo ordine di cose, secondo le intenzioni degli alleati vincitori? Se non m'inganno, esso ci insegna, come il marchese Moroello si fosse guadagnata la fiducia degli alleati in sommo grado. Forse - e questo è un pensiero che mi è sorto soltanto adesso, e che si potrebbe con sitivo di questo penoso rifacimento forse si potrebbe comprendere nel vaticinio di Vanni Fucci tutto il tempo delle campagne preparatorie che precedevano il colpo decisivo contro Pistoia, le imprese contro Serravalle, Larciano, Montale, con le quali a palmo a palmo andava restringendosi la rete intorno a Pistoia, e che anche nel racconto delle Isto 2 coerente e continua. Il marchese Moroello Malaspina, che non soltanto nel 1302 e 1305 comandava l'esercito dei Lucchesi, ma sovvenne coi suoi cavalieri, anche i Fiorentini nella loro impresa di Val d'Arno di sopra nel 1303, 3 e al quale più tardi la città di Firenze attestò: "sanguis liberalissimus Ma"laspine.... semper pro Comuni et Populo "florentino intollerabiles labores sustinuit, et แ 3 4 universos gibellinos habuit inimicos et ipsos "fuit hostiliter persecutus et ab ipsis passus "que orribilia sunt audiri,, il Malaspina potrà essere considerato per tutto questo tempo come la più forte molla, come la vera incarnazione del gagliardo guelfismo nero, quand'anche non gli fosse affidato sempre uffi |