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Jalla tradizione e dal pensiero latini mai spenti durante il medio evo, neppure ne' secoli di più fitta bar

barie, nacquero le due somme autorità, che, quasi due soli, illuminarono di fulgidissima luce quell'età di ferro e di violenza, strinsero in un'unità almeno ideale i popoli cristiani viventi nel disordine e nella disgregazione politica: il papato, potestà eminentemente ideale e perciò più duratura, che dalla sua sede di Roma affratellava le genti nella fede comune ed esercitava per mezzo della complicata gerarchia ecclesiastica la propria azione moderatrice sulle menti de' fedeli ; e il sacro romano impero, universale piuttosto di nome che di fatto, al quale spettava di riunire, con gli argomenti del giure e meglio con la forza della spada, i popoli d'Europa sminuzzati in innumerevoli piccoli feudi e mantenerli in pace e concordia tra loro.1

Sopravissuto al tremendo urto de' popoli barbarici che fece crollare l'antica potenza di Roma, il papato, sentendosi debole ed inerme di fronte ai re longobardici che minacciavano di togliergli ogni libertà, pensò di risuscitare l'antico impero romano, non ancora dimenticato da' popoli, e crearsi cosí una potestà ugual

Per questa introduzione storica mi sono valso principalmente del GREGOROVIUS, Geschichte der Stadt Rom, 2a ed., Stuttgart, 1871, voll. V e VI, e di I. DEL LUNGo, Da Bonifazio VIII ad Arrigo VII, Milano, 1899.

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mente universale, la quale, quasi sorella minore, lo avrebbe col braccio temporale sostenuto e difeso contro qualsiasi nemico. L'anno 800 segna con l'incoronazione di Carlomagno ad imperatore romano la rinnovazione dell'impero nei re franchi, rinnovazione che dura ben poco, perché già nel 962 la dignità imperiale passa con Ottone I nei re germanici, fatti ormai i piú potenti monarchi della cristianità. Cosí sorse il sacro impero romano di nazione tedesca» che, attraverso varie vicende e trasformazioni, visse fino circa al 1800, impero, che in teoria comprendeva tutto il mondo civile o almeno quella parte posseduta un tempo da Roma, in pratica invece si restringeva per lo piú alla Germania ed all'Italia. La pace e la concordia regnarono tra le due potestà, finché il pontefice, pago del pastorale e della stola, rimase, quanto riguarda le cose temporali, in una specie di dipendenza dall' imperatore; ma quando, per le accumulate ricchezze e per le numerose aderenze uscito da questa tutela imperiale, volle man mano entrare nel campo politico, anzi usurpare addirittura il potere imperiale, non poteva non avvenire il fatale urto tra i due poteri, che avrebbe riempito Italia e Germania di stragi e scandali e scosso ne' fedeli il rispetto che li teneva soggetti alla doppia autorità di Cesare e Pietro. La prima lotta, tra Gregorio VII ed Arrigo IV, si mantiene in una regione più alta: da un lato si combatte per

emanciparsi completamente dalle ingerenze imperiali nelle nomine ecclesiastiche e, possibilmente, per far valere la propria voce anche nelle cose temporali; dall'altro si cerca di conservare i diritti di supremazia acquisiti ed esercitati per parecchi secoli. La vittoria arride al papato che, perseguendo il piano teocratico incominciato a svolgere da Gregorio VII, arriva al colmo di sua potenza durante il pontificato di Innocenzo III, dinanzi al quale s'umiliano tutti i sovrani d'Europa e dal quale ricevono in feudo i loro regni come se fossero vassalli di santa Chiesa; intanto l'impero deve volgere altrove gli sforzi, cioè a domare i ribelli comuni dell'alta Italia che, nonostante le replicate sconfitte, finiscono col battere il Barbarossa a Legnano costringendolo cosí a ricononoscere le libertà comunali. La potenza imperiale fiaccata, ma non vinta, aspetta tempi migliori, e ritorna alla riscossa con Federigo II e contro il papato e contro i comuni. Questa volta la lotta è più accanita e violenta che mai; lo scopo de' due combattenti non è più soltanto di respingere l'avversario entro i limiti della sua giurisdizione, ma ci va di mezzo l'esistenza stessa dell' istituzione. (Fu allora che i due nomi di Guelfo e Ghibellino, funesto dono della Germania all'Italia, trapiantati nella penisola assunsero il significato di partigiano della Chiesa il primo, dell'Impero il secondo, e riempirono di guerre e stragi il bel paese schierando finanche i cittadini della medesima città sotto le due nemiche bandiere).

Il papato vorrebbe ora levarsi d'attorno la minaccia continua dell'impero che, con l'occupazione del reame di Sicilia da parte degli | Svevi, gli è divenuto un vero incubo; l'imperatore sa di pugnare per un alto principio, che con lui deve vincere o morire, e perciò né scrupoli religiosi né considerazioni morali lo trattengono dall'usare ogni arme lecita ed illecita contro il temuto rivale. Tutto inutile; i tempi sono cambiati, e Federigo non ha fatto i conti con la nascente nazionalità italiana che informa la resistenza dei comuni. Benché di nascita, carattere e cultura piú italiano che tedesco, e parte non piccola egli stesso nella formazione della letteratura nazionale, l'imperatore svevo rimane pur sempre un estraneo alla maggioranza del popolo italiano, il quale decide la tenzone in favore del papato. Rapido come una meteora passa via il « terzo vento di Soave », e con lui tramonta la fortuna dell'impero. Ma l'odio implacabile dei papi non s'appaga ancora, ed uno dopo l'altro cadono vittime

di quel rancore funesto i discendenti dell' infelice imperatore, Manfredi e Corradino; si stabilisce sul trono insanguinato di Sicilia il braccio destro della Chiesa, Carlo d' Angiò, autore materiale della distruzione di casa Sveva.

Però il papato non gioisce a lungo della vittoria; esso non s'accorge che le due potestà sono strettamente collegate assieme, che, cardine e centro della civiltà medievale, i due luminari traggono nutrimento dalla medesima radice, che insomma la caduta dell'uno avrà per conseguenza necessaria la caduta dell'altro. La lotta secolare li ha estenuati ambedue; cosí non potranno resistere alle nuove energie delle individualità nazionali, che, lentamente delineantisi sopra lo sfondo disordinato dell'età di mezzo, daranno l'ultimo crollo a quel mondo col suo papa e col suo imperatore; ogni nazione pretenderà d'avere una vita indipendente, un organismo proprio, e combatterà ugualmente ingerenze straniere e velleità di dominio universale. Questa causa principalmente determinerà la mala riuscita de' due ultimi tentativi di rimettere il mondo sulle antiche vie, il primo opera d'un papa ambizioso, il secondo d'un imperatore bene intenzionato, Bonifazio VIII ed Arrigo VII.

Di natura violenta ed ambiziosa, Bonifazio VIII pensò valersi dell' indebolimento dell'impero a rialzare la potenza temporale del papato e a far rivivere la politica di Gregorio VII, senza possederne l'ingegno e l'altezza morale. Nessun pontefice prima di lui aveva con tanta veemenza e risolutezza proclamato la supremazia della Chiesa sullo Stato, « quod Romanus Pontifex - imperat super Reges et Regna » ;1 nessuno aveva avuto cosí poco scrupolo nella scelta de' mezzi, come lui, ch'era intento unicamente ad arrivare alla meta agognata. Assicuratosi il dominio della Campagna romana con una guerra spietata contro i potenti Colonnesi, le sue mire si rivolsero tutte alla Toscana e trattò, per mezzo dell'Elettore di Sassonia, con Alberto d'Austria affine di ridurla a feudo della Chiesa (volebat sibi dari totam Tusciam).2

Firenze avea finito allora allora di consolidare la costituzione democratica con i terribili Ordinamenti di Giustizia del 1293 e, rimanendo pur fedele alla tradizionale politica guelfa, alla

1 Epistola al Vescovo e all'Inquisitore di Firenze. V. BARTOLI, Storia della letteratura italiana, vol. V, p. 127.

2 Vedi motto in LEVI, Bonifazio VIII e le sue relasioni col comune di Firenze, Roma, 1882.

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