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PREFAZIONE DEGLI EDITORI

Se diligentemente vorrai percorrere, o benigno lettore, tuttu ľ opera che andremo a pubblicare, saprai dal suo Autore, come surse l'idea di tanto lavoro, come andò elaborandosi e sotto quali auspici potè ire a termine (1). Noi diremo solamente, oltre a qualche particolarità sua, perchè pur ora vede la luce.

Menato a termine sin dal 1840 di proprio pugno dallo illustre cieco, (siccome è qui notorio e siccome si vedrà da una storia che Ei stesso manoscriveva del metodo che tenne per imparare a scrivere a tatto di per se solo) rimase dimenticato per tanto tempo, tra perchè lavori più gravi occuparono la mente dello strenuo investigatore e perchè, pubblicati i Comenti di Gioberti dopo non guari, di B. Bianchi, di Fraticelli ec. ec. e gli studi profondissimi del Settembrini e del De Sanctis, si credette che quello d' Ippio Flauto Tediscen, avesse perduto gran parte della sua originalità ed importanza. Noi, che non fummo mai di siffatto avviso, iterammo le istanze, perchè, prescindendo da ogni considerazione, si togliesse dal dimenticatoio un' opera che, avendo potuto allietare molte ore del giorno di chi la ingiustizia altrui lasciava in balia della propria

(1). Nota 10.a al 2.o Preambolo. Comenti al Canto 25 del Purgatorio, ecc.

impotenza fisica, tanta luce riflette sulla retta interpretazione del Poema Sacro

A cui ha posto mano e cielo e terra.

Il chiarissimo Autore, con quella gentilezza che tanto lo distingue, tutto che opini ancora che il suo libro abbisognerebbe di una revisione esatta e severa per guadagnarsi l'indulgenza del pubblico, à ceduto finalmente alle nostre premure, affidandone il manoscritto e quel che è più, rimettendosi al nostro povero giudizio per decidere se convenisse di sottoporlo alla critica de' dotti riveduto, ovvero così come dalla mente sua usciva di primo getto. E noi senz'altro, lettore cortese, in quest' ultima guisa te lo presentiamo, tra perchè a porre le mani in un lavoro dell' inclito ed instancabile operaio del pensiero, si vorrebbe un altro lui, dagli occhi cieco, divin raggio di mente, e perchè siam di parere che una revisione in qualunque modo fatta, verrebbe ad alterare quello stampo originale che porta ogni libro che, come questo del Tediscen, sia stato scritto con grande amore e con lungo studio. Arrogi che essendo questo il solo lavoro che l'Autore ideava ed insieme scriveva di proprio pugno, à uno stile spigliato, disinvolto, fresco, vivo che forse invano cercheresti nelle altre opere pubblicate sinora da lui; perché, almeno crediam noi, dettale soventemente ad infelici scrivani, non sempre padroni del fatto loro. Debbe molto influire sulla forma dello stile, che pure è opera della natura, come causa collaterale, il modo più o meno facile di scrivere e noi sappiamo che il Lamartine, a slacciarsi dagl' imbarazzi della penna e del calamaio, nè poteva esser per altra ragione, voleva sul suo scrittoio sempre gran copia di matite onde in comporre

si serviva.

Il Buonarroti ne imparò che non si debba tirare una linea sulla carta, la quale non sia tirata prima nella mente. Non fa ď иоро dire che ciò vale per ogni ordine di lavoro. Ebbene se noi dovessimo giudicare il Comento del Tediscen sotto questo punto di veduta, dovremmo dire che egli volle quasi esagerare il precetto di chi giustamente un nostro Abruzzese disse quattro genï riuniti in uno. Anzi a forza di tirarle sempre queste linee nella mente

sua e bene ed assai nette e ricise, spesso incontra di doverne tirar molte altre a seconda di cento direzioni, come quelle che anno un necessario addentellato con le principali; in una parola il Tediscen, ad esaurir sempre l'argomento da tutt' i lati, lo fa sovente anche ad esuberanza. E poichè il tempo era tutto in poter suo in quella piena solitudine, ti pare qualche volta che ne abbia fatto quasi sciupio, egli che pure tanto sa!... poichè tu lo vedi andar inseguendo con pertinace volontà non pure le idee che fanno all'argomento principale, ma con l' ansia medesima quelle eziandio di obietti subalterni. E quando lo scorgi uscito fuor del pelago alla riva, ti pare che con animo riconoscente egli benedica una per una tutte le difficoltà offertegli da un terzetto dantesco, perchè gli anno riempiuto una buona giornata di santo lavoro.

L'è dunque codesta un'opera prodotta quasi dalla sola meditazione personale, non avendo potuto l'Autore attingere nessun aiuto dalla facile erudizione altrui, e quando più avrebbe voluto, nè manco dallo stesso Dante, non potendo leggere di per sè, fuori del caso che la memoria lo sovvenisse per qualche riscontro o ravviinamento di concetto. Vedi dunque che può la necessità, la costanza, il volere ad ogni costo! S' egli perciò à prodotto opera eccellente, giudica tu se non è da dirla anche mirabile!

Nondimeno gli è vero che dà soventi fiate in digressioni talora anche abbastanza lunghe; gli è vero che con la sua inesorabile ed inesauribile analisi, ricercando le fibre più recondite d' ogni più riposto concetto dantesco, tu ti senti costretto a raccoglier tutte le forze tue per addentrarti nel faticoso lavorio in cui lo vedi tanto tenacemente invescato, ma gli è vero pure che lo fa sempre con diletto non poco e profitto grandissimo del lettore paziente, longanime, acuto. E se tale tu sarai, credilo a noi, non ti verrà meno tanto diletto e tanto profitto.

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